16/09/2025 h. 20:37
25 anni fa come adesso
col mio bel pancione, sul divano, le gambe alzate sul bracciolo per cercare di sgonfiare le caviglie, aspettavo il giorno della data presunta del parto, che era stato fissato dal ginecologo per il 20 di settembre.
Il gran momento si avvicinava, faceva caldo ed ero stanca.
Avevo letto cento libri su come affrontare il parto, anche racconti scabrosi di travagli infiniti e finiti…male. Avevo in testa idee discordanti, entusiastiche e drammatiche. La confusione era alimentata dalle conoscenti, cognata, amiche, vicine di casa. Ognuna di loro si sentiva di dover condividere la propria esperienza, e anche se non gradivo, non importava. Era importante che le ascoltassi, che prendessi addirittura nota dei minimi particolari.
L’unica persona che non mi disse nulla di quello che mi aspettava fu mia madre. Non una parola, non un commento, non un consiglio. Sembrava non avesse mai partorito e non si sentisse di dire nulla al riguardo, in quanto inesperta.
Andai a dormire quella sera, sistemando il cuscino in mezzo alle gambe e girandomi sul fianco destro, come era ormai mia abitudine: da mesi ormai non riuscivo più a dormire a pancia in su. Abitudine che mi è poi rimasta e anche adesso dormo ancora in questa posizione.
Faticai a prendere sonno: un’inquietudine strana mi faceva vorticare i pensieri.
Non avevo mangiato niente tutto il giorno, zero fame. Verso la mezzanotte mi spaventai: si erano rotte le acque, ovviamente a letto, così oltre al pigiama, avevo bagnato il cuscino, le lenzuola, il materasso, la coperta…. accidenti! No problem. E da quel momento, cambiai umore di colpo: con una calma serafica, che non mi apparteneva e che non mi è più appartnuta, solo per quella sera, mi misi a sistemare il letto, cambiai la biancheria, andai in bagno a sciacquarmi e a indossare qualcosa di comodo e di memorabile per quella notte magica, la maxi t-shirt nera dei Ⓡooster Varese che l’anno prima avevano vinto il campionato. L’indomani saremo stati in 3, domenica la mia vita sarebbe cambiata radicalmente, e non ero preparata, ma ero felice, felicissima di iniziare questa nuova avventura con una persona che adesso non c’era e che di lì a poco ci sarebbe stata. Felice che da figlia sarei diventata madre, anche se non sapevo cosa volesse dire amare da mamma, perché l’amore di una madre mi era sempre mancato. Un miracolo, il miracolo della vita, che nulla ha di poetico mentre sei in sala parto, ma che mentre mi intrecciavo i capelli in bagno, seduta sul bordo della vasca, credevo di essere la protagonista di un romanzo di Emily Brontë e credevo che la vita mi avrebbe sempre sorriso perché nulla poteva andare storto. Quel bimbo sarebbe nato, bello e sano e sarebbe stato il mio grande successo.
E così fu. Il mio grande successo. Nascesti senza troppo dolore, senza particolari intoppi, solo un po’ di male là da dove era passato il tuo testone, e nulla più.
Alle 8:20 del giorno dopo ti misero sulla mia pancia, ancora attaccato al cordone ombelicale, che recisero poco dopo. Il moncone del cordone ci impiegò un’eternità a staccarsi. Ci vollero medicazioni su medicazioni per far sì che maturasse e venisse via, e alla fine lo tolse la pediatra con un gesto deciso. Io non ne sarei mai stata capace.
Ed infatti il cordone ombelicale virtuale, quello sentimentale, quello che ho nella testa non riuscirò mai a tagliarlo. La vita ha fatto sì che ci allontanassimo prematuramente, otto anni fa. Ma nella mia mente, nel mio cuore, nel mio subconscio, tu non sei mai andato via. Quando piangevi per la poppata, mi ricordo molto bene, mi si stringeva il cuore e il latte iniziava ad uscire a fiotti. Il tuo pianto, la tua voce ridestava in me un legame che andava rafforzandosi sempre di più ed era al di là del buon senso, della ragione, dei luoghi comuni, della comprensione di chi mi stava intorno allora (nota bene, non ho detto di chi mi stava vicino, bensì “intorno”, che è ben diverso, tu capisci). Anche oggi quando le cose non ti vanno tanto bene, non serve che tu mi chiami per raccontarmelo. Io lo sento, io ti sento dentro e non c’è storia. E’ sempre stato così, è così adesso e sarà sempre così.
Non è questione di voler più bene ad un figlio e di avere “le preferenze”. Non è così, noi due litighiamo molto più spesso di quanto non discuta con tuo fratello. Noi due siamo Sturm und Drang e andare d’accordo non è il nostro scopo nella vita. Il nostro scopo è vivere. Vivere forte. Con tuo fratello è una cosa totalmente diversa, né di meno né di più, solo è diversa. E non serve spiegare. Quello che mi piacerebbe trasmetterti è invece la certezza che in me avrai sempre un’alleata, anche quando non ti sembra, anche quando siamo in disaccordo. In me avrai sempre una mamma per te. A volte sembro un po’ il grillo parlante di Pinocchio (molto antipatica, lo ammetto) a volte invece Belfagor, perché come mi fai arrabbiare tu non ci riesce nessun altro. Ma tu questo lo sai già. Quello che forse non sai, perché te l’ho detto troppo poco (mea culpa) è che sono molto fiera di te, dei tuoi successi ma soprattutto di come ti sei rialzato dopo le sconfitte.
Concludo questo amarcord augurandoti di continuare a vivere intensamente, sempre, con quell’egoismo sano che a me è mancato, ma che a te permette di essere speciale, diverso da tutti i mediocri.
Vola Riccardo, vola in alto, atterra e decolla, ma continua a volare.


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